In un’epoca di crisi come la attuale, le aziende richiedono spesso pareri ai propri consulenti in merito a come procedere ad una ristrutturazione interna del personale, anche ricorrendo a strumenti drastici come i licenziamenti.
In questa ottica riveste un particolare significato affrontare il tema del licenziamento dei dirigenti siano essi apicali o meno, che sono generalmente le figure lavorative meglio retribuite all’interno dell’azienda che, svincolate dal rapporto lavorativo, possono dare un maggior respiro alle finanze aziendali; e ciò vale soprattutto per le PMI, specie se padronali, ove l’incidenza sui costi dei dirigenti è notevole rispetto al bilancio aziendale.
Quali sono dunque le opportunità che si presentano agli imprenditori per definire il proprio rapporto con il/i dirigente/dirigenti siano essi apicali o meno?
Schematicamente i casi possono essere, così, riassunti:
1) il Recesso ad nutum: in linea con quanto previsto dall’art. 2118 C.C. il datore di lavoro recedendo dal rapporto, ha il semplice obbligo di dare il preavviso senza apparentemente dover addurre alcuna giustificazione o motivazione. Ovviamente tale figura di recesso può essere applicata solamente ai dirigenti apicali, ma può presentare delle difficoltà quanto alla mancanza di motivazione da parte del datore di lavoro, attesa l’opportunità per il dirigente di impugnare per illegittimità il licenziamento.
La figura del dirigente apicale, per giurisprudenza ormai costante, coincide con colui le cui effettive mansioni, nell’ambito dell’azienda, sono caratterizzate dall’ampiezza del potere gestorio tanto da poter essere definito un vero e proprio alter ego dell’imprenditore, in quanto preposto all’intera azienda o ad un ramo di particolare autonomia ed importanza, in posizione di sostanziale autonomia, sì da influenzare l’andamento e le scelte dell’attività aziendale, sia al suo interno che nei rapporti con i terzi (Cfr. tra le altre Cass. Sez. Lav. 9 aprile 2003, N. 5526).
In tema di recesso ad nutum, applicabile al dirigente apicale, suscita curiosità la recente giurisprudenza di Cassazione che pare estendere anche alle altre figure tale istituto.
Recente Cassazione infatti riporta che la disciplina prevista dall’articolo 2119 del C.C., secondo la quale il recesso ad nutum può legittimamente esercitarsi solo in presenza di una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto, trova applicazione anche nei confronti dei dirigenti. Affinché il licenziamento di un dirigente possa essere considerato legittimo, con conseguente esclusione dell’indennità supplementare prevista dal Ccnl per i dirigenti di aziende industriali, è dunque necessario che esso sia sorretto dal requisito della «giustificatezza», che si distingue dalle nozioni di «giusta causa» e «giustificato motivo» e ne è concettualmente autonomo, e sussiste allorché ricorrano valide ragioni di cessazione del rapporto lavorativo in relazione al carattere spiccatamente fiduciario di questo. Il criterio su cui parametrare la validità di tali ragioni è dato dal rispetto da parte del datore di lavoro dei principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto e del divieto di licenziamento discriminatorio o per motivo illecito, con l’utilizzabilità, in caso di condotte di parziale o inesatto adempimento, anche dei generali criteri codicistici di valutazione della gravità dell’inadempimento.In altre parole, affinché il licenziamento del dirigente possa essere considerato «giustificato» non è necessaria la ricorrenza delle causali previste dalla legge n. 604/1966 per gli altri lavoratori subordinati, potendo il dirigente essere legittimamente licenziato per motivi diversi, meno gravi ed anche non riconducibili ai concetti ed alle nozioni di cui alla legge 604/1966 citata.
2) il Licenziamento per giusta causa: tale modalità di cessazione del rapporto con il dirigente trova giustificazione nel caso in cui si verifichi un fatto che non consenta la prosecuzione, neanche provvisoria del rapporto di lavoro; il datore di lavoro può licenziare in tronco il dirigente (art.2119 C.C.).
3) il Licenziamento disciplinare: ricorre quando il dirigente viola le norme comportamentali del CCNL che lo legano al datore di lavoro e che prevedono una sanzionabilità del comportamento con l’erogazione del licenziamento.
Le garanzie di cui all’art. 7, commi 2 e 3 legge 300 / 1970.
La scelta dell’imprenditore di ricorrere ad una soluzione e/o all’altra, di quelle sopra elencate – non volendo in tale sede considerare le ipotesi delle dimissioni del dirigente e della cessazione del rapporto di lavoro per il raggiungimento del termine del contratto – deve però considerare la problematica dell’obbligo o meno del datore di lavoro di concedere la garanzia prevista dall’art. 7, commi 2 e 3 della Legge n. 300 / 1970 al dirigente, ovvero il diritto di essere destinatario di precisi addebiti scritti e di rispondere con spiegazioni scritte alle contestazioni sollevate.
Se in un recente passato, la giurisprudenza costante ha sempre sostenuto che per il licenziamento dei dirigenti, soprattutto apicali, di aziende industriali, il datore di lavoro non è tenuto a seguire la procedura di cui all’art.7 Stat. Lav., né a sottostare ai principi, di creazione giurisprudenziale, della immediatezza della contestazione e della imputabilità dei fatti contestati o della specificità della contestazione stessa(*), la recente sent. di Cass. Civ., Sez. Unite, 30 marzo 2007, n. 7880, sebbene pare “fenotipicamente” richiedere sempre l’applicazione della procedura di cui all’art.7 dello Statuto dei Lavoratori, in realtà inquadra una fattispecie particolare, che non può essere di esempio per tutti i casi di licenziamento del dirigente. La suddetta sentenza, infatti, pare addebitare ad un dirigente, che non è apicale, un comportamento negligente (o in senso lato colpevole) che abbia posto in essere condotte suscettibili di farne venir meno la fiducia da parte del datore di lavoro, potendo anche applicarsi al caso citato l’ipotesi di un licenziamento disciplinare.
Nel caso in cui, invece, non si tratti di licenziamento disciplinare, ma dell’ipotesi di cui ai Nn. 2 e 3 sopra citati, non si parla di comportamento negligente del dirigente, né di comportamento, in senso lato colpevole e né quindi di licenziamento disciplinare, ma semmai di inadeguatezza del dirigente a ricoprire le mansioni per le quali è stato assunto e di inadempienza nel proprio operato, non certo quindi di comportamento passibile di licenziamento disciplinare.
La sentenza citata, dunque, non può essere estesa a tutti i casi di licenziamento del dirigente ma solamente a quelli di matrice disciplinare. Va rilevato, poi, che incombe al lavoratore l’onere di dimostrare che abbia patito un licenziamento disciplinare in luogo di un licenziamento per giusta causa e/o di un recesso ad nutum, con tutte le conseguenze che ne derivano quanto alle conseguenze del raggiungimento o meno di tale onere
Va, inoltre, considerato che la ratio delle garanzie fornita dall’art.7 dello Statuto dei Lavoratori risiede nella facoltà del lavoratore di vedersi contestato l’addebito prima dell’erogazione di qualsiasi provvedimento, lasciando allo stesso la facoltà di fornire spiegazioni, entro cinque giorni al datore di lavoro; se tali termini vengono rispettati, anche se espressamente non è indicata la norma da cui traggono le garanzie, è ipotizzabile che le garanzie stesse sia state comunque prestate anche in presenza di un licenziamento di tipo disciplinare.
Avv. Stefano Salvetti
(*) Tra le varie, Corte di Cassazione Civ, Sezione Lavoro, Sentenza dell’ 8 novembre 2005, n. 21673, che ha sancito che la disciplina limitativa dei licenziamenti individuali non si applica alla figura del dirigente apicale, né, di conseguenza, si applicano le connesse garanzie procedurali previste dall’articolo 7 della legge 300/1970. La regola della licenziabilità ad nutum dei dirigenti, desumibile dall’articolo 10 della legge 604/1966, è applicabile solo al dirigente in posizione verticistica, che, nell’ambito dell’azienda, abbia un ruolo caratterizzato dall’ampiezza del potere gestorio, tanto da poter essere definito un vero e proprio alter ego dell’imprenditore, in quanto preposto all’intera azienda o a un ramo o servizio di particolare rilevanza, in posizione di sostanziale autonomia, tale da influenzare l’andamento e le scelte dell’attività aziendale, sia al suo interno che nei rapporti con i terzi. Ne consegue che anche l’esclusione delle connesse garanzie procedimentali di cui allo Statuto dei lavoratori vale solo per i dirigenti apicali e non per la media e bassa dirigenza, che sia legalmente ascrivibile alla categoria del personale direttivo (cosiddetti pseudo dirigenti o dirigenti meramente convenzionali).
In tal senso anche Cass. Civ. Sez. Lav., 9 agosto 2004, n. 15351,