Parere legale
L’AZIONE REVOCATORIA ORDINARIA
Prevista e disciplinata dagli artt. 2901 e ss. C.C., l’azione revocatoria ordinaria rappresenta uno dei principali strumenti predisposti dall’ordinamento per la conservazione della garanzia patrimoniale generica di cui all’art. 2740 C.C.
In quest’ottica, la Suprema Corte ha più volte ribadito la funzione meramente conservativa e non recuperatoria dell’azione, in quanto diretta alla riduzione in pristino della consistenza patrimoniale debitoria depauperata dall’atto dispositivo.[1]
Di conseguenza, il fruttuoso esperimento del rimedio non può travolgere l’atto pregiudizievole compiuto dal debitore in danno ai propri creditori, ma ne determina semplicemente l’inefficacia nei soli confronti del soggetto che l’abbia utilmente promosso. Costui, dunque, una volta ottenuta la pronuncia di revoca, può conseguire il risultato utile aggredendo il bene oggetto della disposizione impugnata con la procedura di espropriazione forzata ex art. 2902 c.c., nelle forme di cui all’art. 602 c.p.c.
Passando all’esame dei requisiti per l’esperimento dell’azione de quo, l’art. 2901 C.C. prevede espressamente la sussistenza dei seguenti elementi:
A) ELEMENTO OGGETTIVO (cd. Eventus damni):
Ai fini dell’esperibilità dell’azione revocatoria ordinaria, non è necessario che il debitore si trovi in stato di insolvenza, essendo sufficiente che l’atto di disposizione da lui posto in essere produca pericolo o incertezza per la realizzazione del diritto del creditore, in termini di una possibile o eventuale infruttuosità di una futura azione esecutiva.
Infatti, l’eventus damni ricorre non soltanto quando l’atto di disposizione determini la perdita della garanzia patrimoniale del creditore, ma anche quando tale atto comporti una maggiore difficoltà ed incertezza nella esazione coattiva del credito.
La giurisprudenza di legittimità ha precisato che l’eventus damni può consistere non solo in una variazione quantitativa del patrimonio del debitore ma anche ad una variazione qualitativa, quando detta variazione sia tale da rendere più difficile la soddisfazione dei creditori stessi.[2]
Inoltre, per la configurabilità del pregiudizio alle ragioni del creditore non è sufficiente che sussista un danno concreto ed effettivo, essendo invece sufficiente un pericolo di danno derivante dell’atto di disposizione, il quale abbia comportato una modifica della situazione patrimoniale del debitore tale da rendere incerta la esecuzione coattiva del debito o da comprometterne la fruttuosità.
B) ELEMENTO SOGGETTIVO:
“a) che il debitore conoscesse il pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di un atto anteriore al sorgere del credito, l’atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicare il soddisfacimento”. (cd. Scientia damni)
Per la sussistenza del suddetto requisito la giurisprudenza di legittimità ha chiarito: “allorché l’atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, è necessaria e sufficiente la consapevolezza di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore, essendo l’elemento soggettivo integrato dalla semplice conoscenza – a cui va equiparata la agevole conoscibilità – nel debitore di tale pregiudizio, a prescindere dalla specifica conoscenza del credito per la cui tutela viene esperita l’azione, e senza che assumano rilevanza l’intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore (c.d. consilium fraudis), né la partecipazione o la conoscenza da parte del terzo in ordine alla intenzione fraudolenta del debitore” (Cass. Civ. n. 2792/2002; Cass. Civ. n. 7262/2000).
“b) che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse a consapevole del pregiudizio e, nel caso di atto anteriore al sorgere del
credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione”. (cd. Partecipatio fraudis)
Sul punto, è opportuno distinguere la trattazione del predetto requisito a seconda che si tratti di:
1) Atto anteriore al sorgere del credito: in tale ipotesi, il creditore ha l’onere di dimostrare che l’autore dell’atto, alla data della sua stipulazione, era intenzionato a contrarre debiti (o comunque era consapevole del fatto che in futuro sarebbe sorta l’obbligazione) ed ha compiuto l’atto dispositivo proprio in funzione del sorgere della futura obbligazione, allo scopo di precludere o rendere più difficile al creditore l’attuazione coattiva del suo diritto.
2) Atto posteriore al sorgere del credito: in tale ipotesi, la consapevolezza dell’evento dannoso da parte del terzo contraente, consiste nella generica conoscenza del pregiudizio che l’atto a titolo oneroso posto in essere dal debitore può arrecare alle ragioni dei creditori, non essendo necessaria la collusione tra il terzo ed il debitore.[3]
Infine, è doveroso chiarire che, il requisito dell’anteriorità rispetto all’atto impugnato del credito a tutela del quale essa viene esperita, deve essere riscontrato in base al momento in cui il credito stesso insorge e non in base al momento, eventualmente successivo, del suo accertamento giudiziale.
GLI EFFETTI DELL’AZIONE REVOCATORIA
L’articolo 2902 C.C. dispone espressamente: “Il creditore, ottenuta la dichiarazione di inefficacia, può promuovere nei confronti dei terzi acquirenti le azioni esecutive o conservative sui beni che formano oggetto dell’atto impugnato.
Il terzo contraente, che abbia verso il debitore ragioni di credito dipendenti dall’esercizio dell’azione revocatoria, non può concorrere sul ricavato dei beni che sono stati oggetto dell’atto dichiarato inefficace, se non dopo che il creditore è stato soddisfatto”.
Dunque, il vittorioso esperimento di un’azione revocatoria non è idoneo a determinare alcun effetto restitutorio rispetto al patrimonio del disponente, né, tantomeno, alcun effetto direttamente traslativo in favore dei creditori, e comporta soltanto l’inefficacia (relativa) dell’atto rispetto ai creditori procedenti, rendendo il bene alienato assoggettabile all’azione esecutiva, senza in alcun modo caducare, ad ogni altro effetto, l’avvenuta disposizione.[4]
LA PRESCRIZIONE DELL’AZIONE REVOCATORIA
Ai sensi del disposto dell’articolo 2903 C.C. “L’azione revocatoria si prescrive in cinque anni dalla data dell’atto”.
Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il termine quinquennale di prescrizione indicato dalla norma decorre dal giorno in cui dell’atto è stata data pubblicità ai terzi, in quanto solo da questo momento il diritto può essere fatto valere e l’inerzia del titolare protratta nel tempo assume effetto estintivo.[5]
Avv. Stefano Salvetti
Avv. Sabrina Venturato
[1] Cass. 25 maggio 2001, n. 7172, in Mass. Giust. Civ., 2001, 1055; Cass. 18 febbraio 2000, n. 1804, in Giur. It., 2000, c. 2904
[2] Cass. Civ. n. 2792/2002; Cass. Civ. n. 4578/1998).
[3] Sul punto si veda: Cass. Civ. 1068/2007; Cass. Civ. 10430/2005.
[4] Sul punto: Cass. Civ. n. 8419/2000.
[5] Sul punto: Cass. civ. n. 1210/2007.